Con l’ordinanza n. 3768 del 7 febbraio 2022, la Cassazione ha accolto il ricorso di una società in house contro la ex dipendente che aveva richiesto la conversione a tempo indeterminato del suo rapporto di lavoro a termine.

In particolare, la Corte afferma che la trasformazione di un contratto a termine in contratto a tempo indeterminato costituisce una “nuova assunzione” e, come tale, essendo intervenuta successivamente all’entrata in vigore della l. 133/2008 di conversione del d.l. 112/2008, doveva essere oggetto di selezione pubblica come previsto dall’art. 18.

La recente sentenza, molto interessante, fornisce un ottimo spunto per ripercorrere e ricordare, a sei anni dall’entrata in vigore del d.lgs 175/2016 (testo unico in materia di società a partecipazione pubblica TUSP), la disciplina che queste particolari aziende private sono tenute a rispettare al fine di evitare la nullità dei rapporti di lavoro e prevenire la responsabilità per danno erariale.

Nel rispetto del principio di cui all’art. 97, co. 4, della Costituzione, il legislatore ha introdotto l’art. 19 del d.lgs 175/2016 che detta le regole per la gestione del personale nelle società a controllo pubblico. *(1)

In merito al rapporto fra procedura concorsuale di cui al d.lgs. n. 165/2001 e contratto di lavoro, si è osservato che «… sussiste un inscindibile legame fra la procedura concorsuale ed il rapporto di lavoro con l’amministrazione pubblica, poiché la prima costituisce l’atto presupposto del contratto individuale, del quale condiziona la validità, posto che sia la assenza sia la illegittimità delle operazioni concorsuali si risolvono nella violazione della norma inderogabile dettata dal d.lgs. n. 165 del 2001, art. 35, attuativo del principio costituzionale affermato dall’art. 97, co. 4, della Carta fondamentale …». (Cass. n. 13884/2016).

Infatti, è previsto l’obbligo di predisporre appositi provvedimenti con i quali stabilire i criteri e le modalità per il reclutamento del personale, nel rispetto dei principi di trasparenza, pubblicità ed imparzialità, anche di derivazione comunitaria, nonché quelli indicati dall’art. 35 co. 3, del d.lgs. 165/2001.

Ovviamente tali provvedimenti, devono essere predisposti e approvati dal consiglio di amministrazione, se presente, ovvero dall’amministratore unico della società.

I provvedimenti, di solito definiti “regolamenti”, devono dettagliare le procedure per la selezione del personale, in modo da:

  1. garantire un’adeguata informazione (ad esempio, mediante la pubblicazione del bando di selezione sul sito istituzionale della società e della pubblica amministrazione);
  2. garantire metodi di selezione oggettivi e trasparenti (ad esempio, la correzione delle prove scritte su base numerica e non nominativa);
  3. garantire il rispetto delle pari opportunità;
  4. garantire la presenza di membri di commissione esperti nelle materie attinenti alla posizione da reclutare;
  5. garantire l’esclusione dalle commissioni di titolari di cariche politiche o sindacali.

Tali principi dovranno ispirare la redazione dei regolamenti e, una volta approvati, dovranno essere pubblicati nel sito istituzionale della società: in caso contrario, il responsabile del procedimento, oltre a subire la decurtazione del trattamento economico di risultato, sarà passibile di una sanzione amministrativa pecuniaria di importo variabile da 500 a 10.000 euro.

Nella sentenza n. 1371 del 28 febbraio 2022, il TAR della Campania sostiene che l’art. 19 del d.lgs. 175/2016 attribuisce alla società partecipata un’ampia discrezionalità nello

stabilire le procedure e le modalità per la selezione del personale. *(2)

Per questa ragione, è fondamentale “settare” perfettamente il regolamento per il reclutamento del personale, al fine di conformarlo alle effettive esigenze della società.

Infatti, occorre prestare molta attenzione alle procedure di assunzione di personale nelle società partecipate in quanto quelle effettuate in violazione della norma, senza aver preventivamente emanato il regolamento o in difformità dell’art. 35 del d.lgs. 165/2001, sono nulle *(3), in quanto l’assunzione effettuata in violazione delle procedure di reclutamento è nulla sin dalla data di costituzione del rapporto. *(4)

Nelle società a partecipazione pubblica, il previo esperimento delle procedure concorsuali e selettive condiziona la validità del contratto di lavoro: nella fattispecie, opera il principio per cui, anche per i soggetti esclusi dall’ambito di applicazione del d.lgs. n. 165/2001, art. 36, la regola della concorsualità imposta dal legislatore, nazionale o regionale, impedisce comunque la conversione in rapporto a tempo indeterminato del contratto a termine affetto da nullità (Corte di Cassazione, ordinanza 30 settembre 2020, n. 20911).

Per quanto concerne la posizione del lavoratore dipendente, questi ha diritto al solo trattamento retributivo per la prestazione resa, considerato che il comma 4 del TUSP richiama e fa salvo quanto previsto dall’art. 2126 del c.c.

Le norme contenute nei provvedimenti e la loro corretta applicazione sono affidati alla giurisdizione ordinaria.

In merito al contenimento dei costi, l’amministrazione pubblica socia fissa gli obiettivi annuali e/o pluriennali della spesa pubblica, tra cui quelli che riguardano le società controllate, tenendo conto anche delle limitazioni e/o divieti nelle assunzioni. La società a controllo pubblico riceve dal socio atti di indirizzo che deve recepire con proprio provvedimento ed applicarlo nella contrattazione integrativa di secondo livello, al fine di garantire gli obiettivi posti dall’amministrazione controllante e provvedere al contenimento degli oneri contrattuali del personale.

Come già evidenziato, i provvedimenti ed i contratti integrativi devono essere pubblicati nel sito istituzionale della società e del socio pubblico: in caso contrario, il responsabile del procedimento, oltre alla decurtazione del trattamento economico di risultato, è passibile di sanzione amministrativa pecuniaria.

Per quanto riguarda la gestione del personale, il rapporto di lavoro, instaurato nel rispetto della normativa per il reclutamento, segue interamente la disciplina del lavoro privato. In particolare, in merito agli ammortizzatori sociali, non sono previste limitazioni o esclusioni e, pertanto, nei confronti dei dipendenti trovano applicazione tutte le norme poste a tutela dalle disposizioni del rapporto di lavoro privato (CIGO, CIGS, mobilità, NASPI, solidarietà, fondo integrazione salariale). La sola eccezione è rappresentata dalla società a totale partecipazione pubblica, che è esclusa dalle integrazioni ordinarie (CIGO).

Recentemente, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con la risposta n. 15 delle FAQ di cui alla nota prot. 393 del 1° marzo 2022, in riferimento all’obbligo della notifica obbligatoria per l’impiego di lavoratori occasionali, ha specificato che le società per azioni con partecipazione pubblica non possono ritenersi equiparabili ad una P.A. per la sola circostanza che l’ente pubblico ne possegga in tutto o in parte le quote: in questo modo, oltre a stabilire l’obbligo di notifica per l’impiego di lavoratori occasionali da parte della società partecipata, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ribadisce la natura privatistica di queste aziende.

  1. La Corte Costituzionale, che ha evidenziato la assimilabilità al lavoro pubblico dei rapporti instaurati con le società partecipate, ha ‘escluso che una difformità di trattamento con l’impiego privato, rispetto alla sanzione generale della conversione di cui al d.lgs. n. 368 del 2001, possa dirsi ingiustificata ove vengano in rilievo gli interessi tutelati dall’art. 97 Cost., ed in particolare le esigenze di imparzialità e di efficienza dell’azione amministrativa (Corte Cost. nn. 89/2003), esigenza che ad avviso della stessa Corte stanno alla base della disciplina dettata dal richiamato del D.L. n. 112 del 2008, art. 18 (Corte Cost. n. 68/2011).
  2. l’art. 19 richiama al comma 1 “le disposizioni del capo 1, titolo 2, del libro 5 del codice civile, delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, ivi incluse quelle in materia di ammortizzatori sociali, secondo quanto previsto dalla normativa vigente, e dai contratti collettivi” facendo, però, salve le diverse disposizioni speciali dettate dallo stesso decreto che, per quel che qui rileva, art. 19, comma 2, impone alle società a controllo pubblico di stabilire “criteri e modalità per il reclutamento del personale nel rispetto dei principi, anche di derivazione europea, di trasparenza, pubblicità e imparzialità e dei principi di cui al D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 35, comma 3” ed al comma 4 prevede espressamente la nullità dei contratti di lavoro stipulati in difetto dei provvedimenti e delle procedure di cui al comma 2.
  3. La nullità di un contratto determina il venir meno di tutti gli effetti da esso prodotti, come se lo stesso non fosse mai venuto ad esistenza.Il contratto è nullo:
    quando è contrario a norme imperative;
    quando difetta di uno dei requisiti indicati dall’articolo 1325 c.c., cioè 1) l’accordo delle parti, 2) la causa, 3) l’oggetto, 4) la forma, se prescritta sotto pena di nullità;
    quando la causa è illecita o quando lo sono i motivi, se le parti si sono determinate a concludere il contratto esclusivamente per un motivo illecito comune ad entrambe (art. 1345 c.c.);
    quando l’oggetto del contratto è impossibile, illecito, indeterminato o indeterminabile (art. 1346 c.c.);
    in tutti gli altri casi previsti dalla legge (es. nel caso di contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili, è prescritta la forma scritta a pena di nullità (art. 1350 c.c.), o ancora, l’art. 17 della L. 382/78 sancisce la nullità di ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale di un contratto).
  1. Hanno, però, precisato che le norme che incidono sulla validità del contratto non sono solo quelle che si riferiscono alla struttura o al contenuto del regolamento negoziale ma anche quelle che “in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto: come è il caso dei contratti conclusi in assenza di una particolare autorizzazione al riguardo richiesta dalla legge, o in mancanza dell’iscrizione di uno dei contraenti in albi o registri cui la legge eventualmente condiziona la loro legittimazione a stipulare quel genere di contratto, e simili. Se il legislatore vieta, in determinate circostanze, di stipulare il contratto e, nondimeno, il contratto viene stipulato, è la sua stessa esistenza a porsi in contrasto con la norma imperativa; e non par dubbio che ne discenda la nullità dell’atto per ragioni – se così può dirsi – ancor più radicali di quelle dipendenti dalla contrarietà a norma imperativa del contenuto dell’atto medesimo” (Cass. SSUU 26724/2017).