Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza n. 1558 del 6 luglio 2019.

I giudici di Palazzo Spada con una articolata sentenza, dopo aver ricordato come l’affidamento in house è stata oggetto di numerosi interventi della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e nazionale, che hanno ormai individuato con chiarezza gli elementi necessari per configurare una gestione come “in house”, nella fattispecie oggetto di giudizio, hanno negato che la società potesse essere considerata affidataria in house del servizio.

Quanto sopra in ragione del fatto che l’art. 5 dello Statuto societario consentiva l’ingresso nel capitale sociale di soci privati anche sino al 50%. Circostanza questa, secondo i Giudici, che gli consentirebbe l’esercizio di poteri di veto e di controllo secondo l’ordinaria disciplina sulle società per azioni.

Ebbene, tale aspetto se certamente non è di per sé illegittimo, non appare però compatibile con la figura della gestione in house, laddove è richiesto (tra l’altro) il requisito del controllo analogo da parte del socio pubblico, vale a dire che la società in house costituisce una sorta di ente strumentale della stazione appaltante, praticamente quasi un suo “braccio operativo”.

Secondo la giurisprudenza amministrativa, infatti, la verifica dell’esistenza del controllo analogo deve essere effettuata in concreto, considerato che: <<…il controllo analogo richiesto per configurare l’in house providing si sostanzia in un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti della società controllata, tale per cui quest’ultima, pur costituendo una persona giuridica distinta dall’ente pubblico partecipante, in realtà ne costituisce una mera articolazione organizzativa priva di effettiva autonomia>> (così Consiglio di Stato, sez. V, 16.11.2018, n. 6456).

Nota dello Studio

Ricordiamo, da ultimo, che secondo la vigente normativa (cfr. art 5 D.Lgs. n. 50/2016 e s.m.i.) non è escluso (a differenza del passato) l’ingresso di socie privati nelle società in house, purché si tratti  di forme di partecipazione (in una percentuale inferiore al 20%) che non comportino controllo o potere di veto previste dalla legislazione nazionale e che non consentano l’esercizio di un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.